Per chi volesse vedere dal vivo tutta quella carica eversiva,
rivoluzionaria, trasgressiva e sfacciata che il Rock n’ Roll fece conoscere al
mondo armai 60 anni fa, la meta è Kabul. Un po’ scomoda, forse. Ma in questi
giorni il ciclone di una musica che finalmente ritorna ad essere la chiave
dell’emancipazione giovanile è di scena ai giardini di Babur, nel cuore della
capitale Afgana. Piccoli, sconosciuti gruppi da ogni parte del mondo ritornano
a farci assaporare il gusto del proibito, del precluso, dell’immorale. La
vecchia musica del diavolo che l’occidente ha (per pochissimo) messo al bando,
per poi assimilarla e spremerla nel suo carrozzone consumistico, ritorna ad
essere un affare sporco e deviante. Quindi bellissimo.
Il Rock era sul libro nero del Mullah Omar proprio come lo fu per la
BBC o la CBS, dove anche il bacino di Elvis era fuorilegge. Come lo fu per il
New York Times, per Sinatra, per la Chiesa, per il buongusto dei bianchi
borghesi sopra i trent’anni nell’aurea epoca repubblicana di Eisenhower
In Afghanistan dove tante nuove emancipazioni aspettano le loro lotte
popolari, questa musica fuorilegge ha, per una volta, ritrovato la sua essenza
più pura.
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