Ovvero liberi percorsi per strade secondarie. Accogliamo viandanti e
viaggiatori, autostoppisti e musicofili.
A questo giro hanno collaborato:
Evil Monkey
Massimiliano Manocchia
Vlad
Mr. Hyde
Mr. Hyde che ringraziamo, oltre che per i contributi scritti, per il
video e le immagini che trovate in questo post.
***
E.M.: La
precedente conversazione si è chiusa con una proiezione futurista del blues
sulle autostrade dei Kraftwerk.
Riprendo dunque il filo quindi dai territori impervi del kraut-rock,
ma lo faccio in modo meno fantasioso di Massi e mi limito a citare un brano da
Schwingungen degli Ash Ra Tempel, Light:
Look at your Sun, uno dei massimi esempi di blues incisi al di qua dall'Atlantico.E' il pezzo che
Morrison e Buckley avrebbero sempre voluto cantare; e a dirla tutta ci sono
andati vicino, (sopratutto Tim). Eppure quella vocalità dimessa, fatalista, di John
L. accompagnata da quel notevole chitarrista che fu Gottsching, genera una foschia
violacea ammantata di blue a cui ogni
appassionato faticherà a resistere.
Non vado oltre, perchè in realtà vorrei rileggere l'intervento di Vlad
(http://isle-of-noises.blogspot.it/2014/01/pyramids-lalibela-1973-ovvero-come.html),
perentorio quanto chiaro nelle definizioni.Lo condivido in buona parte, mi
piace l'ardire di citare Afrika Bambaata, Galeano e la “lavandaia italiana”.
Cos’è per lui il blues:
“È prima dell’accademia. È la
terra.
I canti degli italiani
immigrati; degli europei immigrati in America ad esempio nordici, irlandesi,
ebrei, est europei: sono blues.
Il blues appartiene agli
sconfitti.
Il blues all’opposizione. Contro
il potere, inevitabile.”
Scrivi blues, leggi folk.
Ma non sarà - e risparmiatemi le critiche per la superficialità
dell'assunto - che il blues sia il folk
dei neri, e il folk il blues dei bianchi?
Se gli orizzonti culturali, geografici e l'estrazione sociale degli
esecutori sono così sovrapponibili, allora per trovare una discriminante
dobbiamo davvero tornare al pentagramma?Le blue note, le 12 battute, la
struttura AAB…
Alla fine dipende magari da come si afferra uno strumento. Nella presa
del manico sta tutto. Del simpatico Big Jim Courier dicevano che impugnava la
racchetta da tennis come fosse una mazza da baseball; con violenza e scarso
talento tecnico. Il nero strappa chitarra e armonica dalle mani degli europei e
le suona sovrapponendo la sua cultura musicale a quella per cui quegli
strumenti erano stati fabbricati. Folklore sovrapposto ad hardware sonoro.Si
direbbe d'istinto, senza metodo;con scarsa tecnica, inventando per necessità.
Mother of invention?
Lo strisciare un coltello sulle corde per riprodurre i miagolii degli
strumenti monocordi tribali. E se non c’è il coltello? Va bene anche il collo
di una bottiglia. Ecco l’invenzione. E la necessità.
Soffiare in un armonica diatonica per riprodurre una scala cromatica.
E le note mancanti? Si soffia in modo da piegare appena l’ancia, ed ecco fatto.
Alla lunga lo strumento si rompe, ma la nota si trova.
Necessità, invenzione.
Sarà così, o stiamo ancora perpetrando il mito del buon selvaggio che
bambinescamente soffia coi sui labbroni nella Marine Band della Hohner e la
trasforma in un piccolo sax tascabile? E’ davvero frutto di un approccio
infantile, sregolato, estemporaneo e un po’ bizzarro? Chi si azzarderebbe a
dire lo stesso del jazz?
Queste sono riflessioni che facevo mentre mi rigiravo tra le mani
alcuni vecchi LP della gloriosa serie Folk della Fonit-Cetra,quella collana
diretta da Giancarlo Governi per cui nei tardi anni '70 sono stati pubblicati
numerosi album, tra cui senza dubbio ci sono anche le canzoni della “lavandaia”
citata da Vlad.
Non so se quelle pubblicazioni siano mai state ristampate in CD; i
vinili a volte li potete reperire in qualche negozio di seconda mano, forse
anche a qualche vinylmania, pur se non sono considerati oggetti molto “cool”.
Tra i vari che ho soppesato ho optato per Gli alberi crescono alti (canzoni di lavoro, d'amore di guerra e di
lotta delle Isole Britanniche) di Fred Lane e Kjell Westling, con una
bellissima cover illustrata dagli Arcani Maggiori da farlo sembrare qualche
oscuro progressive mistico.
Che c'entra col blues? Forse nulla, è un grande album
involontariamente freak come fossa la Incredible String Band. Però è tutto quello
che Vlad cita come "essere blues" e con cui sono d'accordo.
Vlad: Allora: un esempio.
Gli africani se ne stanno nella loro terra; qualcuno suona con
strumenti indigeni; altri con strumenti influenzati dalla matrice araba
islamica…
La loro musica può essere vincente, dolorosa, di vittoria,
celebrativa, ma rimane la loro musica.
Gli africani vengono razziati, la loro cultura, di fatto, distrutta.
Essi cercano di ripristinarla in condizioni avverse, culturali,
sociali, riadattando gli strumenti e formalizzando il tutto secondo le teorie
dei conquistatori.
La lama del coltello, il collo della bottiglia, le scale…
Ecco il blues.
Allo stesso modo: Pizarro distrugge gli Incas; la loro cultura è di
fatto dispersa.
Settant’anni dopo un discendente di Atahuallpa (ultimo sovrano Inca
ucciso da Pizarro), il grande poeta inca (ma spagnolo naturalizzato) Garcilaso
de la Vega, cerca di evocare la propria terra con gli strumenti linguistici,
culturali e politici del conquistatore.
Una operazione blues.
Non so che chitarre o flauti
avessero gli Incas. Sorge una domanda: i peruviani oggi fanno il blues?
Ricreano in terra ostile, con strumenti stranieri, le melodie Inca?
E i messicani fanno lo stesso con gli Aztechi?
E gli aborigeni australiani? E i persiani?
E i calabresi che suonano la pelle della capra che fanno? I calabresi,
i Greci, la tragedia (detta canto del capro) … che musica avevano i Greci nella
tragedia? Cosa sopravvive oggi delle culture sconfitte, cancellate, e viene
riproposto (anche involontariamente) con diversi mezzi, quelli attuali, quelli
dei vincitori?
C’è da indagare per decenni … Siria, Sardegna, Normandia, Yemen,
Australia, Galles …
Il blues afroamericano è così famoso solo perché vicino a noi e
miracolosamente vicino ai registratori vocali di Lomax e compagnia. In caso
contrario (afroamericani razziati nel 1500 e peruviani sin nel 1800 e passa)
non avremmo mai avuto Blind Lemon Jefferson o Leadbelly, ma una pletora di
sudamericani che suonava strumenti Inca riadattati … Eric Clapton avrebbe schitarrato
col suo nuovo gruppo: Balseros del Titicaca …
Il blues (quello classico e riverito) ha avuto una fortuna sfacciata.
Massi: Ah, gli Ash RaTempel:
mi hai colpito in un punto debole… che mi strappa ovvietà adolescenziali: è una
delle mie band preferite (l’ho detto, chiedo venia). E quel John L. che nella
vocalità somiglia non poco a un altro John L., arrivato quasi un lustro dopo a
minacciare l’anarchia nel Regno Unito, per poi trasformarsi in un muezzin che intona cupi mantra
psicotici.
Inevitabile che si debba parlare anche di folk. Nessuna critica per la “superficialità dell’assunto”, poiché
anche un’eventuale definizione di folk deve per forza possedere i connotati
delineati da Vlad. Forse in parte sì, dobbiamo tornare al pentagramma, a patto
che si comprenda che il blues non è trascrivibile. O meglio, lo sarebbe anche,
ma se provassimo a suonare un blues eseguendo pedissequamente, vale a dire col
“rigore esecutivo” cui si accennava, la trascrizione, il risultato sarebbe
tutto fuorché blues. Mi spingo oltre: se inseriamo un brano qualsiasi, anche di
musica classica, in uno dei tanti software che “suonano” i pentagrammi, avremmo
un risultato ottimo: per quanto mancante di feeling
(e questo può metterlo solo un esecutore “umano”), l’output sarebbe comunque ottimale. Ma se proviamo col blues, questo
non accade; si ha quasi l’impressione che esso non si lasci “catturare” in modo
definitivo, che non sia mai uguale a se stesso, che si nutra di
micro-variazioni di ritmo, shifting
di accenti non codificabili sul pentagramma; a volte il blues sembra essere
quel tipo di tensione emotiva che sfugge a qualsiasi tentativo di codifica.
Il tentativo di riappropriazione della propria cultura da parte di un
popolo ‘deportato’ in terra straniera risente necessariamente delle “influenze”
culturali e sociali della terra che lo “ospita” (sfruttandolo), e il blues non
fa eccezione. È vero, come afferma Vlad, che ha avuto una fortuna sfacciata, avendo in
qualche modo tratto vantaggio dalla tecnologia, ma credo sia l’ultima grande
forma di musica folk prodotta dall’umanità. Posto che si tengano fuori dal
discorso la house e la techno, col suo corollario di cosiddetta “cultura rave”
che, personalmente, considero altrettanto “folk.” Scontato, allora, ma da
sottolineare, il collegamento precedentemente accennato ai Kraftwerk, ormai
indiscussi precursori (consentitemi un luogo comune, per una volta) della
techno.
E forse, oggi, il blues non lo si fa più “strisciando coltelli sulle
corde”, né mettendo bene in evidenza le blue
notes o la struttura AAB, e a dire il vero già alcuni bluesmen appartenenti
alla “classicità” – mi viene da citare ad esempio Lightnin’ Hopkins, benché non
sia il solo – avevano fatto più di un tentativo per rivitalizzare la loro
musica uscendo, ancorché di poco, dagli stereotipi sonori e strutturali già
consolidatisi da qualche decennio.
Ecco quella che mi sembra una buona domanda: come si fa il blues oggi che non esistono più le
lavandaie?
E.M.: “Come si fa il blues oggi che non
esistono più le lavandaie?”
Ma io credo che quelle
sono almeno 40 anni che non ci sono più. Non c’erano più già quando Clapton
clonava l’assolo di Otis Rush su All your
lovin’.
Però non per questo
manca autenticità. Che magari non è sempre sinonimo di grande musica.
“Autentico è ricreare
originalmente”, scrive Carmelo Bene citando Foscolo.
Alcuni dei blues
migliori – e autentici - li ho sentiti per strada, tra i buskers.
Uno era un giapponese
enorme che suonava una fantastica National Steel. Si faceva chiamare The Fujii
e vendeva il suo CD autoprodotto su un marciapiede sotto il portico di una
banca, 10.000 lire: Anyway What Time Did
You Get Up This Morning. Uno di quegli slide solitari e stonatissimi,
tirate di sei setti minuti, trombettisti free, bordoni di armonica, registrato
per strada. Una favola… Crecatelo in
giro, ne vale la pena.
Gli altri erano un trio
di svizzeri con un batterista che batteva su una specie di bidone del rusco e
uno che suonava un manico di scopa infilato in un secchio. L’unico che aveva
uno strumento era il chitarrista. Si chiamavano Hell’s Kitchen e suonavano quei
groove ipnotici alla John Lee Hooker.
Ecco questi due esempi sembrano
proprio schegge di qualche cultura mista, di rifugiati, di evasi. Apolidi. Cari
a Vlad. Eh, sì, il blues è stato fortunato. Ma si è meritato tutto quanto.
***
Corollario
Mr. Hyde: Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una
jam session d’una domenica pomeriggio. [Jack Kerouac – nota su Mexico City
Blues].
E’ vero: il blues è
un’entità spirituale che vaga tra un’anima e l’altra. Ne sceglie una a caso e
comincia a tormentarla. Aleggia nell’aria, preferisce quella mefitica delle
metropoli, città abbandonate come, per fare un esempio, Detroit, un tempo
capitale dell’auto, oggi deserto urbano. Ma anche gli acquitrini, il Mar Nero,
i giardini di arance sommersi dalla lava dell’Etna. Desolazione.
Passato. [Hyde]
Nobody know the other side of my house, my corner where I was born,
dusty guitars. [Jack
Kerouac –Mexico City Blues, framm. da 127h Corus].
Sono convinto che la
beat generation ebbe come riferimento il blues e lo Zen. Forse non ne fu
consapevole... Kerouac però scrive: Charlie Parker Assomogliava a Buddah. [Jack
Kerouac –Mexico City Blues, framm. da 239h Corus].
Ma c’è un altro lato
non proprio Zen, del Blues, sanguigno e terreno:
“Il blues è un uomo in
una notte gelida, che cammina per un’eternità, di luogo in luogo, Sutton Place
o Bowery, vivendo. No! Non vivendo. E’ quella memoria viva ma non condivisa,
che vive la vista che vediamo viva e vivente. Contenuto? Perché ridicolo? Donne
su cuscini abbracciati in piscio pisciato, piscio schizzato nel rigagnolo non o
perfino non come il suo disconoscente getto che imbeve l ’inguine vestito e
filtra attraverso i suoi resti abbigliati. Puzzando nel suo angolo moccioso che
si trasforma in carta raramente in cambio della sua ragione, alcool, risposte
della vita agli onniscienti, le audacie con le donne, il vino, i canti, le
danze e gli stordimenti. Risuonano vecchie azioni fredde, egli respira e vive
momenti no, di stravaganti momenti benedetti d’amore detti d’amore, tutte menzogne,
menzogne di non-verità reciproche che sfortunatamente si sono unite e hanno
odiato le verità universali, dentro e fuori, a seconda che si presuma che lui
non è una lei. Dannazione a tutto blues; Avvitato al gelido marciapiede
fondente di pietra audacemente abbracciata, erezione di cemento, immaginato
morbido solo per ritardate erezioni di solitudine che sono diventate femminili
e ti rispondono umide, calde lacrime,non troppo allontanato dal suo comune
denominatore, urina ghiacciata che fonde alla audace morte bollente che si
aggrappa alla vita per amore al pensiero di una risposta, sia sulla creta,
sulla terra o sull’asfalto io osservo nella mia ebbra febbrile ricerca di un
vero inguine femminile, che mi vuole come io voglio lei,senza mai odiarmi
perché abbiamo trovato rifugio e soddisfazione come due pietre ubriache che si
riscaldano fianco a fianco dentro e fuori della nostra debilitata idea della
scopata di lati opposti.” [da “Peggio di un bastardo”– Charles Mingus]
E.M.: C'è una musica blues. Ma c'è anche una “prosa” blues? Cosa la rende
così? Il lessico, o meglio il “gergo”'? La (mancanza di) punteggiatura? I
soggetti? Più ecumenicamente, tutte e tre le cose? La letteratura blues è la
letteratura beat. O meglio il beat è blues “sotto copertura”'o assomiglia di
più all' improvvisazione di un bopper fatto di droga?
Mr. Hyde: Blues
genere letterario? Prova
a dirlo ad uno di quei diavoli ciechi ! Piuttosto linguaggio blues usato in
letteratura. Blues trasversale. (che brutta parola..) Potremmo parlare di
elementi blues inseriti nella prosa.
Però quello che piace
del blues è che non è completamente definito e definibile. Il poter aggiungere
qualcosa di personale, come in un racconto non scritto. Certo, il linguaggio,
gli argomenti (girovagare, donne, alcool, droga, la notte) gli stati d’animo (rabbia,
tristezza,rassegnazione) i luoghi, sono elementi caratterizzanti, ma è il
‘colore’ (non so come definirlo)quell’oscuro affascinante disagio che avverti
anche ascoltando Pretty As You Feel
dei Jefferson Airplane, che non è dichiaratamente un blues. Forse
un blues in acido…
Playlist
Ash Ra Tempel - Light: Look at your Sun
da: Schwingungen 1972
Fred Lane e Kjell
Westling - Gli alberi crescono alti (canzoni di lavoro, d'amore di guerra e di
lotta delle Isole Britanniche) 1977
Otis Rush - All your lovin’ 1958
The Fujii - Anyway What Time Did You Get Up This Morning 2001(?)
Jefferson Airplane - Pretty as You Feel
da: Bark (1971)
3 commenti:
Una belle esperienza di condivisione, grazie a tutti!
Grazie a te, Hyde, per il tuo magnifico video e il tuo contributo.
Go on!!
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