sabato 29 novembre 2014

L’opinione di Kurtz


Siamo spaventati da una delle invenzioni più insulse mai fatte: il giudizio degli altri.

Natalino Balasso

Ha mai pensato seriamente a delle reali forme di libertà?
La libertà dall'opinione degli altri… persino dalla propria opinione.

Colonnello Kurtz


Confesso che e da parecchio tempo che lavoro per svincolarmi dal giudizio degli altri.
Per pervenire ad un reale pensiero autonomo, che tenga conto solamente del mio sentire e del mio vedere, e che anzi sempre di più rinunci al giudizio e al verdetto morale, in favore di una comprensione che derivi dalla descrizione e dalla conoscenza.
Non è facile.
Anche perchè bisogna poi ammettere che ci sono persone i cui giudizi sono istruttivi, ponderati, formativi.
Ecco la difficoltà non è tanto fregarsene delle altrui opinioni (che è solo aggirare il problema, in maniera un po' massimalista, come non comprare nessun quotidiano o buttare la tv giù dal terrazzo). La difficoltà sta nella selezione.
Perchè in epoca di comunicabilità di massa, sono mille le voci che ci circondano, che (ci) danno voti, che stilano classifiche, che trascrivono giudizi, stabilendo promossi e bocciati, disegnando pollici versi o faccine arrabbiate, fornendo consigli per gli acquisti... degli altri.

“Mio caro Sig. Evil Monkey, lei dimentica sempre che questa è la grande rivoluzione dei nostri tempi: che finalmente ognuno può contare uno, e che finalmente è dal basso che possiamo fare sentire la nostra voce.
Per esempio, io sul mio blog Recensionigeniali.it ho sparato a zero sull' ultimo album dei Pink Floyd e domani me ne esco con un post di fuoco sugli AC/DC, perchè la gente deve capire che non si può passare la vita ad ascoltare musica di merda e vecchi dinosauri che non sono altro che residuati bellici.
Grazie per lo spazio concessomi, un saluto.”

La più subdola arma di un sistema consolidato, è far credere alle persone che stanno facendo la rivoluzione.
Quando quella rivoluzione non esiste.
Noi che cerchiamo di esprimerci sui blog, sui social, sui gruppi WhatsApp, ai tavolini del bar, abbiamo un difetto di fondo difficile da estirpare.

Rispondiamo a domande che nessuno ci ha fatto


Che è poi la sindrome di Lisa Simpson, così come fu analizzata da Ned Flanders.


“Eh, andiamo però Sig. Evil, smettiamola di farci la morale facendoci credere di fare tutt’altro. Parliamo solo di musica che è meglio. Siamo qui per questo, no?
Un caro saluto” 

Rispondiamo a domande che nessuno ci ha fatto

  
Ma chi ci ha mai chiesto il nostro parere su nulla?
E addirittura ci sbattiamo a destra e manca per attribuire giudizi.
Ma c'è, nelle parole di Kurz, qualcosa di ancora più profondo.

Ha mai pensato seriamente a delle reali forme di libertà?
La libertà dall'opinione degli altri… persino dalla propria opinione.

Ma come si fa ed essere svincolati dalle proprie idee? Occorre una patologia psichiatrica dissociativa o basta un po' di travestitismo politico zelighiano?
No.
Il discorso non è mica di forma.
Bisognerebbe avere l'onestà, ma soprattutto il coraggio, di rivedere costantemente i propri riferimenti, di ricalibrare il proprio metro, di aggiornare in continuo la propria scala di valori. Alla luce dell'attualità, delle nuove letture, dei nuovi ascolti (perchè ascoltiamo anche cose nuove, no? O preferiamo ancora i Velvet Underground?). Della prova dei fatti. Non avere paura di rinnegare eroi dell'adolescenza, nè di abbracciare ciò che prima ci appariva il vuoto assoluto; il nemico

“Eh, però lei caro Evil Monkey mette proprio la coerenza sotto le suole. Il compito della critica matura è quello di essere obbiettivo e di avere un metro di giudizio chiaro, altrimenti siamo sempre esposti ad ogni cambio di vento!
Un carissimo saluto”

È errore comune pensare che essere sempre e comunque “contro” garantisca autonomia di giudizio. Garantisce solo smarcamento dalla maggioranza. E la facile inclusione in un altro gruppo, magari minoritario, addirittura intimo, ma pur sempre un gruppo. Solo questo è ciò che ci rende forti: il senso di appartenenza. È anche ciò che ci limita, perchè ogni appartenenza ha le sue regole. Bastano due persone, per farsi forti di un gruppo.
Nell'ultimo periodo mi sono trovato ad ascoltare - per forza, per gioco o per caso - parecchia musica che NON appartiene al gruppo in cui mi sento inserito (da me, e dall'altrui giudizio): Venditti, Jovanotti, 883…
E il senso di repulsione (che è una di quelle famose regole di appartenenza) ha subito fatto il suo lavoro.
Quanto è difficile prendersi libertà dalle proprie opinioni!
Ora non voglio dire che il mio gusto si sia così radicalmente trasformato. Eppure mi sembra sempre più un misero gioco scrivere giudizi, fare classifiche, attribuire voti. Soprattutto fare confronti.
Un gioco facile, fatto per lenire una certa frustrazione latente e spesso votata alla decostruzione, alla critica gratuita, alla facile ironia, allo scherno proprio di quel gruppo che ha testardamente insistito per anni su una presunta superiorità intellettuale.
Colonialismo della cultura.
Serve una strada nuova.
Strade nuove.
Oppure il silenzio...?

“Caro Sig. Monkey, in definitiva devo purtroppo dire che questo post mi ha fatto schifo! Congetture sconclusionate, paternalismo, moralismi… e niente rock, niente dischi. Io confidavo di discutere sulla prospettiva storica in cui si inserisce lo slow-core nei primi anni ’90 e di quale sia la sua eredità.
Sono molto deluso.
Un caro saluto.”

7 commenti:

mr.Hyde ha detto...

E' una schiavitù psicologica, terribile.Io ne soffro parecchio e sto facendo molto training autogeno per cercare di guarire...

Gianluca Chiovelli ha detto...

Basta col pensiero debole!

Massi ha detto...

Ullalà Evil, credo tu abbia toccato IL tema e non escludo di proseguire la discussione su Detriti... :-)

Unknown ha detto...

E allora magari IL tema continuerà...
Intanto, Vlad ha ragione, però un pensiero anche intrinsecamente forte, anche "contenutisticamente" forte, se non riesce ad essere aggregante, se non riesce ad essere coesivo...allora finisce per disperdersi nel mare magnum. E rimane debole. Questa almeno è la mia paura. Come nell'ultimo post di Vlad (guarda un po')...anche in questo caso c'è necessità della legittimazione da parte di un gruppo...anche per convincerci che ciò che ci circonda sia veramente reale. È lo scherza che la corte di Polonia gioca al povero Sigismondo, prigioniero nella torre, no? Lui è solo, nessuno lefittima il suo pensiero e la sua realtà.
Altre strade? Irrilevanza o assimilazione? Questo per citare un articolo del messaggero proposto da Ged sul suo blog.
ce n'è da parlare...

Gianluca Chiovelli ha detto...

Bisogna stare attenti, perché a svincolarsi dal giudizio degli altri si rischia di legittimare sciocchezze. Inoltre: come fai a svincolarti del tutto? Per il semplice fatto di essere stato gettato qui e ora ... L'unica via d'uscita è conoscere il più possibile. Chi conosce solo cento dischi si rifugerà nel suo mondo particolare (a chi il prog a chi il metal) ... chi ne conosce diecimila assomiglia un po' a chi ne conosce diecimila ... il giudizio tende a farsi comune, pur nella diversità di indoli e intelletto ... a certe altezze si diviene oggettivi ... a volo bassi proliferano 'è bello ciò che mi piace' (come no ... Bach e Mengoni stanno lì)

unwise ha detto...

la "prospettiva storica in cui si inserisce lo slow-core nei primi anni ’90"... spero che te lo sia inventato... :)

Unknown ha detto...

No, no deriva da attenta riflessione!)

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