Sono
convinto che il vecchio, bistrattato, sepolto “rapporto epistolare”
abbia in realtà ancora molto da dire pur in questi tempi di
comunicazione generalizzata, massificata e superficiale. Il piacere
di rivolgersi ad una persona e ad una soltanto; di richiedere ed
ottenere la sua attenzione. Di richiedere ed ottenere una risposta.
Negli
ultimi giorni ho discusso “attorno
alla Fine”
con alcuni amici; un tema proposto da un piccolo
post
e rilanciato da un giro di mail qualche tempo addietro.
Di
seguito, un collage di alcune conversazioni; un collage che è
saltato fuori in maniera talmente fluente e naturale da stupirmi,
quasi non fosse frutto di sei mani e tre teste, ma di un unica
creatura (non) pensante.
Grazie
a loro per primi, e anche a tutti i nostri lettori.
***
ANT:
Accade che il "lavoro" arretrato assume dimensioni
mastodontiche, senza che io me ne renda conto; le recensioni in
stand-by, gli artisti ancora nel limbo e le cartelle "work in
progress" si moltiplicano come conigli infoiati. Gli
album da ascoltare sono troppi,
le cose da scrivere pure, ma poi perché farlo? Ha senso tutto
questo? C'è veramente qualcuno dall'altra parte del monitor?
MASSI:
Non riesco più a organizzare le idee, anche le più semplici;
scrivere – quella “cosa” che un tempo fluiva con tale
naturalezza da costringermi a frenare la spontaneità – è
diventato una affanno ingrato, un atto di molestia perpetrato ai
danni del me stesso che vorrei essere, e che forse non sono.
È
questo il sapore della fine? Da quando hai lanciato quest’idea
della fine, non penso ad altro. Che
suono ha la fine?
Ce l’ha, un suono? Mentre scrivo queste righe, nel lettore sta
girando “Brothers In Arms”, e la cosa terribile è che sono
costretto ad ammettere che mi piace. I Dire Straits. Il genere di
gruppo che ho sempre deriso con acida (immatura?) supponenza da
becero intellettuale. Sono a un passo da Jovanotti, cioè a un passo
dalla fine?
EVIL:
Nell'ultimo periodo, correndo come sul ciglio di un burrone, mi sono
appoggiato ai Grandi, perchè in certi momenti c'è necessità di
buttarsi ad occhi chiusi su chi sai non può tradirti: Rolling
Stones, soprattutto. Ma i Dire Straits non mi meravigliano:
ultimamente ascolto compulsivamente Eminem,
Robbie Williams,
Mia Martini... ed altro. Credo sia uno sfogo di rigetto, la necessità
di trovare altri ambienti, altri spazi che fino a qualche giorno
prima sembravano non esistere neppure.
Aria
nuova. Che sia poi già viziata... pazienza.
MASSI:
Io non so se questa è la fine, Evil, o una possibile fine. Anche
perché siamo abituati a parlare di fine solo al singolare; ma chi ha
detto che la fine è una sola, di un solo tipo e genere? Chi ha detto
che la fine debba per forza essere totale, assoluta? Potrebbe essere
anche lieve, indolore, silenziosa, nascosta; potrebbe arrivare senza
squilli di trombe o fragorose catastrofi. Potrebbe non esistere
nemmeno, la fine, ovvero potrebbe essere una condizione costante in
cui siamo incondizionatamente immersi. Oppure potrebbe essere già
arrivata: e noi non ce ne siamo ancora accorti. In questo momento ha
il suono di “Brothers In Arms”, fra poco potrebbe avere il suono
di “Decades” (sì, negli anni della giovinezza fui uno di quelli
che “knocked on the doors of hell’s darker chamber”) e
domattina quello “Art Official Age”.
EVIL:
La "Fine" ha sempre contorni incerti, sfumati. A guardarla
con distacco la fine di un avventura di blogging, di scrittura, di
relazione, di comunicazione - chiamiamola come ci pare - è piccola
cosa. E facilmente rimediabile. La realtà è che in queste
avventure, seppur piccole, mettiamo in gioco tante cose di noi, ci
esponiamo, togliamo maschere e armature e siamo totalmente
vulnerabili. Condividiamo gli amori e le passioni profonde (per la
musica, per l'arte...) e rischiamo costantemente di scottarci.
Scottarci con l'insensibilità e l'indifferenza che ci circondano. Ce
ne stiamo lì, nudi, fragili, con le parole sulla punta della
lingua... e nessuno se ne accorge.
The
hatred you project
Does
nothing to protect you
You
leave yourself so exposed
You
want to open up
When
someone says
Lighten
up
You
find all your doors closed
Get
yourself a break from self rejection
End
Of Silence, di Henry Rollins, è un album che negli ultimi mesi ho
messo a memoria. Credo che sia uno dei corpus di testi più spietati,
masochisti e reali che sia mai stato scritto.
Ma
la mia "fine" ha due colonne opposte ed antitetiche: The
End
(va da sè...) e We
Will Fall
degli Stooges. L'una certamente trendy, "hip", magari un
po' modaiola ma innegabilmente affascinante e dolorosamente suadente;
l'altra tetra, buia, senza scampo. Queste opposte facce di una uguale
moneta tengono già su tutto... Il resto nel mio gusto, è
speculazione intellettualistica e puro decoro.
Nel
commento al post di Ant parlavo di deserto. E' un altro aspetto che
mi ossessiona: deserto di fatto, ma deserto di silenzio, deserto di
voci e relazioni, deserto delle persone attorno. "Deserto sulla
Terra", così entra il tenore nel primo atto del Trovatore.
cantando di guerra.
Quella
sabbia rossa, calda, arida, secca, piena di crepe di siccità, è il
terreno su cui immagino di muovermi. In lontananza, figure
tremolanti, ombre, fantasmi o solo miraggi. Miraggi di colore che ci
stanno attorno ma che alla fine svaniscono in un commento mancato, in
una parola non detta.
ANT:
Certo che il “deserto” intorno, il declino di questa nazione e di
tutto l’ammasso di pietra e fuoco che abbiamo sotto i piedi, non
lasciano intravvedere niente di buono per il futuro.
Mai
come adesso la FINE mi è sembrata così vicina.
In
questi giorni ho pensato più volte alla colonna sonora che dovrebbe
accompagnare il sipario sul mondo (o sui nostri blog) ma poi non ho
avuto tempo di metterla nero su bianco.
In
questo periodo gli arretrati mi si stanno accumulando a dismisura e
non riesco a stare dietro a loro e alle bislacche idee che ogni tanto
mi balzano in mente.
Però,
devo dire che End of Silence di Rollins non è male in questa veste,
come anche la classica The
End
e gli Stooges ci stanno. Però con Decades (la sa bene Massi) ci vado
a nozze. Borthers In Arms perché no, pensandoci bene non è fuori
luogo.
Se
vi può interessare in questo momento io sto ascoltando Battiato,
anche se qui siamo sicuramente fuori tema.
Intanto
per la mia colonna sonora per la fine (l’ennesima) parziale del
mio blog in questi giorni stavo pensando ai Zoar di In
The Bloodlit Dark
trattasi di dark ambient pesante e oppressivo. Buio. Ma anche No
Fun
di Iggy Pop.
Anche
se il modo in cui si sta riducendo il pianeta, distrutto e
intossicato da violenza, inquinamento, schifezze e ingiustizie di
ogni genere mi fa ritenere più adatti i Discharge. O in alternativa
qualche band d-beat crust hardcore più recente come gli Halshug o i
Nightfall, ma forse è solo l’incazzo dilagante di questi giorni
che mi fa optare per questa scelta.
MASSI:
Come sarà la fine, Evil?
Ho
la sensazione che non lo sapremo mai perché ci nasconderanno anche
quella. Forse ce l’hanno già nascosta in mezzo a milioni di nuovi
falsi inizi.
EVIL:
...scivolare lentamente e placidamente verso il basso. Goin'
Down Slow,
diceva quel vecchio blues.
E
magari trovare un perverso piacere nel farlo.
***
A
margine, una considerazione personalissima (ed una non richiesta
“difesa” di questo post).
Credo
fermamente che quelli che a prima vista possono sembrare piccoli
sfoghi e frustrazioni private, nascondano invece una disillusione ed
una mortificazione generalizzate molto più profonde di quanto si
possa credere.
Sono
sogni infranti, promesse non mantenute, appuntamenti mancati.
Dalla
“rete”,
che promettendo libertà e democrazia diretta ha invece ottenuto
superficialità e populismo gretto.
Dalla
Musica,
che NON salverà il mondo (per chi non se ne fosse ancora accorto...)
e dovrebbe già essere felice di risollevare il morale a qualche
(vecchio) ragazzo depresso: un grande merito, a mio avviso, ma sempre
trascurato rispetto alla necessità di propagandare il “bello” ed
allo sbandierare propositi umanitari superomistici.
Dalla
politica
e dai contesti “allargati”
(economia, religione...), certo va da sé: e chi non se la prende con
la politica di questi tempi?
Inoltre
ci sono le promesse che abbiamo fatto a noi stessi e che noi
non siamo riusciti a mantenere. Piccole cose, certo: lo scrivere un
post a settimana; essere recensiti da qualche rivista; ottenere un
buon seguito di lettori. Pubblicare un libro, vendere un disco,
spuntare un contratto di lavoro.
Piccole
cose ma ciò non di meno determinanti per il NOSTRO di morale, che
perdonerete, è la cosa ora più importante.
Di
nuovo grazie ai miei amici interlocutori; ed ai lettori tutti.
Di
seguito una prima, scarna playlist che stiamo costruendo (con l'aiuto
di Massi e Ant, si intende)
Killing
Joke – Requiem (1980)
Iggy
Pop - Funtime (1977)
Slayer
- Hell awaits (1985)
Discharge
- The End (1982)
St.
Louis Jimmy Oden - Going Down Slow (1941)
Uno
standard che piaceva ai Free (dirompente Kossof su Tons of Sobs) e ai
Led Zeppelin che spesso la inserivano nel medley a chiusura dei
concerti.
Rollins
Band - Low Self Opinion (1992)
Così
si alza il sipario su End Of Silence; morsi hard rock che affondano
nella propria carne
Edgar
Broughton Band - Evening over Rooftops (1971)
Esistenzialismo
in cima ai tetti; una panoramica che starebbe bene sui diari di
Palomar; stanchi di tutte le ultime rivoluzioni.
Stooges
– We Will Fall (1969)
La
pietra tombale sulla stagione dell'amore la mettono Iggy e John Cale
con un tetro rituale in penombra.