Febbraio è appena cominciato e ospitiamo, declinando ogni
responsabilità, il mensile dispaccio di Capitan Vinile.
Buona lettura… se ve la sentite.
Ombrosi
discepoli dei trentatregirieunterzo, è Capitan Vinile che vi parla.
Ho
dedicato le ultime settimane a cercare di sondare in profondità il mio rapporto
col kraut-rock. A dirla
tutta, nemmeno ho capito del tutto che cosa la gente intenda quando parla di
kraut-rock. E’ qualcosa di geografico? Alimentare, musicale, estetico? E’ una
facile etichetta giornalistica vagamente razzista, un genere autonomo,
riconosciuto?
Avevo
un amico, un gioioso estremista musicale, che considerava veramente kraut solo
due gruppi: Neu! e Kraftwerk. Tutti gli altri stavano incasellati
disordinatamente da altre parti: Can, troppo funky; Faust, industriali; Ash Ra
Tempel, new age…. Non gli ho mai dato troppo peso, anche perchè era il tipo di
integralista che si sarebbe volentieri fatto saltare in aria sul palco di
X-Factor al grido di Hallogalloooooo!!!
Al
contrario, coloro che devono vendere sembrano considerare questo genere in
maniera estensiva: ogni album prodotto nelle lande mitteleuropee tra il ‘70 e
il ‘77 diventa una Graal kraut-rock. Se poi ha un nome complesso - Subject ESQ,
Emtidi, Missus Beastly - e una copertina con accostamenti cromatici bizzarri,
allora ognuno si sente in dovere di sparare cifre pazzesche. Così l'ingenuo
vinilomane alle prime armi corre il rischio di spendere una fortuna per qualche
LP di europop belga o per una compilation proto-dance del Canton Ticino.
Ma
del resto, cosa c'è di bello in un LP kraut se non il nome e la cover? Anzi, il
valore di questi album pare direttamente proporzionale alla difficoltà di
lettura di titolo e autore. Tanto che, scambiando due chiacchiere, ormai più
nessuno si azzarda a citare letteralmente questi nomi. Vuoi mettere pronunciare
Witthüser & Westrupp, Lieder von Vampiren,
Nonnen und Toten? Molto più facile “Ohr - 56002”. Ed ecco che nasce una sorta di codice segreto per gli adepti del pop
crucco.
Il
mese scorso mi sono divertito a partecipare ed assistere ad alcune aste per
titoli imponenti. Ho fatto un paio di offerte per un Tago Mago di stampa tedesca, fermandomi a quota 47,50 € e sono
stato ad un passo dall'aggiudicarmi Yeti
su etichetta Liberty: ho perfino rilanciato l’offerta all'ultimo secondo, roba
che non facevo da tempo immemorabile, ma d'altronde Yeti è l'unico album che mi
manca tra quelli che contano degli Amon Duul II (sempre che la ristampa Sunset
di Phallus Dei conti qualcosa...) Alla fine, come al solito, mi hanno fregato e
i miei 56,78 € non hanno ottenuto nulla.
Ma
i botti veri si devono cercare per gruppi molto più remoti (a parte un Ege
Bamyasi con poster a 604,33 euro...).
Ho passato molto tempo ad affinare parametri di ricerca rigidissimi per
scandagliare il web, e sopratutto i siti di aste, alla ricerca dei veri titoli
kraut: incrociando nomi dei complessi e etichette discografiche importanti (perché
è lì che si deve battere se si cercano i pezzi che contano davvero) pensavo di
potere ottenere risultati precisi. Niente da fare, non faccio che trovare
vecchie cassette magnetiche Basf da 90 minuti e orridi album di Emerson, Lake
and Palmer. Però alla fine qualcosa rimane nella rete, e, a proposito dei
gruppi remoti di cui sopra, è stato divertente assistere all'asta per il primo lp degli Eloy (Philips 6305089). Ora,
è noto che gli Eloy sono tutto tranne un gruppo kraut e che quest'album vale sopratutto
per il complicato formato del packaging che riproduce un bidone per rifiuti
apribile, ma comprarlo per 555 euro, dopo 22 offerte... E neanche è stato il botto
migliore perché un titolo assurdo come Reflections
On The Future dei Twenty Sixty Six And Then (1972, UAS 29314),
oltretutto con una delle copertine più brutte della storia, è stato battuto per
671
euro. Misteri del collezionismo.
Per
riprendermi dallo smacco di aver perso Yeti sul filo di lana, forte comunque
dei 56 euro risparmiati, ho deciso di buttarmi in un'altra zona d'ombra. Il
mercato discografico americano è talmente vasto che non basterebbe una vita per
esplorarlo tutto. In ambito prettamente rock, al di là degli eroi di fine anni ’50
(Berry, Holly, Lee Lewis) della psichedelia tra ‘66 e ’68 e di qualche uscita surf,
non esistono veri filoni specifici di pietre preziose viniliche. Così ho scelto
di girovagare tra il mainstream di quegli anni in apparenza terrificanti
compresi tra il '75 e i primi ‘80. Cioè quando tutta l'androginia e il punk che
arrivavano dall'Inghilterra venivano bellamente snobbati dall'americano medio
per cui l'omosessualità sbandierata era roba, appunto, “da inglesi” e il
"no future" era anticostituzionale.
Ero
conscio del rischio: musicaccia melodica per ragazzine del college,
pseudo-disco sintetica e chissà quante altre porcherie. Ma se sono esistiti i
Pere Ubu, qualche speranza ci sarà pure…
Fortunatamente
c'è sempre quel californiano che
svuota la cantina, e con parte di quei 56 euro ho portato a casa un pacco di
roba, tra cui: Teenage Magic dei
Gambler, Pieces Of Eight degli Styx
(a 0,74 euro… ma come chiedere di più?), l’album omonimo degli Zebra (addirittura 1,69) e About Us degli Stories (98 cent).
Spesso
l'acquirente medio si fa spaventare dalle cifre dei costi di spedizione dagli
USA, dimenticando che il buon vecchio euro un po' aiuta e che tutto sommato, se
pago un disco appena 2 dollari... Senza contare poi che con acquisti multipli
la spedizione si abbassa proporzionalmente. Una ventina di euro per cinque
dischi fa poco più di quattro euro l’uno, non male per un viaggio di 8.000
chilometri.
Certo
la cantonata è sempre dietro l’angolo: pacchi approssimativi, nessuna busta in
plastica protettiva (costerebbe più del vinile stesso), tempi d’attesa lunghi.
Tanto lunghi che qualche volta quando finalmente arriva il pacco nemmeno più
ricordo cosa possa esserci dentro. Meglio! Effetto “auto-sorpresa”.
Quello
degli Stories (Kama-Sutra KSBS 2068) è un gatefold ad apertura verticale,
come Monster degli Steppenwolf, spesso tre dita e dalla copertina piena di
occhioni languidi tra il ceruleo e l’oltremare. Anno 1973. In teoria roba da
teenagers in calore; però non tutto è da buttare. Tredici brani, un pop
leggermente frizzante come una versione plastificata dei Big Star, qualche
groove interessante sul lato B, un po’ di glam, funk bianco a buon mercato.
Alla fine c’è anche Brother Louie che fu addirittura n° 1 Billboard nel
settembre ’73. Su Amazon non è nemmeno scontato trovare il CD; più di dieci
dollari per un pezzo usato, probabilmente non esistono riedizioni della prima
stampa del 1996. Non mi lamento, un acquisto discreto.
Zebra (Atlantic 80054-1)
è un LP del 1983 in cui riponevo discrete aspettative. Mai coverto prima, ma
qualcosa mi diceva che poteva essere un buon disco.
Copertina
nera, busta interna nera coi testi, etichetta Atlantic verde e rossa: una
garanzia. Dalle foto diresti che sono un amalgama tra Police e primissimi Rush.
Dalla musica diresti decisamente Rush, non primissimi. Falsettoni e
sintetizzatori di sfondo (non troppo invadenti, grazie al cielo). Ma anche metallici
riff hard ’n’ roll. Nessuna bizzarria, pochissima auto indulgenza. Nessuna La Villa Strangiato e anche i sette
minuti dell’imponente ballata Take Your Fingers From My Hair filano via lisci. Vinile
lucido e ottimo audio, oltretutto. Bello.
Degli
Styx non parlerò:
sapevo bene cosa stavo comprando. Però ammetto che ancora non ho capito se, con
quella voce così persuasiva sull’ottimismo pomposo dell’American Dream, Dennis
DeYoung sia un cantante, un adepto di Scientology o un mental trainer del
marketing piramidale ad una convention sull’ autoaffermazione. Cioè, ma
veramente dobbiamo sorbirci roba come Great White Hope o I'm O.K??
Ammetto
che Teenage
Magic (EMI America – SW 17009, busta interna bianca con i testi) mi
spaventava alquanto. 1979, prodotto dalla EMI America su una label “verde
clamoroso”, con quel logo in giacca-e-cravatta che trasudava funky-dance e una
copertina dal vago sentore anni ’20. Mi consolava la foto del gruppo sul retro,
a metà tra gangster di Chicago e facchini del Village (in grado però di
sfoggiare qualche bel paio di jeans a zampa). Ebbene, surprise surprise, ecco un maturo album di AOR in uscita dal pub
per lanciarsi nelle arene, ben cantato, rifinito da venature soul di Hammond e
sostenuto da una chitarrona assai abile. Per l’amor di Dio: c’è romanticismo e
miele a go-go, ballatone sentimentali ed happy-end scontati. Ma l’ascolto viaggia
sempre alla grande tra Reo Speedwagon, Kansas, Toto, Jerry Rafferty, e anche
qualche tentazione più robusta di fine decennio in zona Nazareth o Foreigner.
Comunque, Americani fino al midollo. Tennage Magic che chiude il lato A è un
pezzo assai scaltro. Dispiace quasi che furono subito scaricati dalla EMI dopo
il secondo album. A quanto pare il disco non è mai stato ristampato in CD: ma
del resto se non è qualche reliquia di psichedelica pesante a nessuno importa…
Eppure, guarda un po’: proprio i Gambler sono stati la sorpresa più positiva
del lotto.
Questo
rafforza la mia convinzione che, nonostante tutto, ampie regioni del pop
americano a cavallo tra 70 e 80 siano assolutamente zone vergini; per le
orecchie e per i portafogli. Artisti indecisi tra nostalgia seventies,
imitazioni punk, tentazioni metal e glamour disco. Nessun genere di
riferimento, nessuna etichetta (ancora) da collezione, per fortuna. Prezzi
contenutissimi e qualche bella sorpresa. Per non parlare di quell' enorme buco nero del “progressive
yankee”, il genere inesistente, un po’ come il Cavaliere di
Calvino. E’ accaduto veramente? Chi ne faceva parte? Quali le sue
caratteristiche? Fu una risposta ai grandi nomi inglesi o qualcosa di
differente? Tante domande che meriteranno una discussione apposita, e forse
anche qualche risposta.
Allora
cosa aspettiamo?
La
verità è là fuori!
Capitan
Vinile alza la puntina e vi saluta!
Capitan Vinile