venerdì 15 marzo 2013

Far East Family Band – Nipponjin



On the edges of the earth
There a new and virgin land
I just want to feel it with my eyes
There a new and virgin land
Waiting in the Northern lights
l just want to feel everything
Mysteries a thousand puzzles — waiting there
I just want to see it for myself


Dove i venti freddi scendono lungo la valle dell'Amur, e ghiacciano appena la superficie del Grande Fiume Dormiente, sotto quei bagliori traslucenti che solo i Cieli del Nord possiedono.
Lì, all'ingresso celato della Terra Cava, il battesimo della Far East Family Band assume definitivamente i contorni del Rito; celebra una musica che pretende di essere omaggio ai piccolissimi eroi del pop occidentale, e li trasforma invece in una cerimonia che trasuda di una spiritualità talmente intensa da sembrare parossistica quando va male, addirittura mistica nei momenti felici.
Fu negli studi Onkyo House a Tokyo che si incontrarono i figli di due generazioni maledette che sancirono nel sangue la scalata al Mondo; e ora sussurrano una preghiera per quel kamikaze che non si schiantò contro la portaerei nemica. Così è il supremo guru dell'elettronica Kosmische, Klaus Schulze, ad accogliere questa raminga famiglia giapponese, già dispersa e ricostruita più volte allo sfaldarsi della comune rurale d’origine.
Sotto gli auspici della suprema label underground, la Vertigo, pareva che tutti gli elementi fossero finalmente allineati nella giusta costellazione per farne la collaborazione definitiva tra la scena spaziale tedesca e la lontanissima voglia di Rock dell'arcipelago del Sol Levante.
In un 1975 in cui la musica anglosassone agonizzava sotto ciprie, parrucche e milioni spesi in eroina e prostitute, il Battista intona il suo canto dalle acque del Fiume delle Anime. E’ l'ennesima, trasfigurata, parafrasi su Little Wing della Family; è la musica, la voce che vi aspettereste di sentire tra le montagne fluttuanti di Pandora. I flauti dei mille pellegrini Rifugiati di un Perter Hammil scomparso intonano El Condor Pasa, mentre Schulze organizza una stratificazione di mellotron in chiaroscuro. Quando la chitarra si abbandona, come stremata, tra tutte quelle ovvietà di un Gilmour prestato alla fender di Blackmore, avrete già dimenticato il catalogo dei Pink Floyd, l'ultima raccolta dei King Crimson e le copertine pastello dei Genesis.
Nipponjin è il manifesto per l’Europa continentale della nuova onda di orfani rocker avanguardistici nipponici. Schulze ne ha tradotto l'atteggiamento spirituale, porgendo al leader della Famiglia, Fumio Miyashita, le chiavi del nuovo reame; adattando la dilatazione della melodia per palati più avvezzi alla sinfonia romantica, rivestendo bambineschi ritornelli con galassie, costellazioni intere di sintetizzatori e strati di bordoni elettrici.
Succede allora che l’umida foresta di sitar, biwa, liuti e shamisen di Nipponjin si trasporti in un luogo di metafisica consistenza. Klaus fa accomodare i vecchi Far Out sul quel Divano Occidentale-Orientale su cui si erano già adagiati, con una foto di (retro)copertina fantastica, gli Amon Duul della Tanz e la comune primordiale di Paradieswart Duul, felice nella semplicità dei panni colorati stesi al sole.
E' lui l'officiante che rivela i Misteri di un lontano culto orientale, strappa il velo e svela tutto quanto: il bosco sacro, la sorgente d'acqua chiara, i sassi tra i pesci colorati della fontana. Limitando quanto possibile i rischi, serve il tutto al pubblico delle metropoli, ai pendolari della grigia metropolitana delle 17:23, ai fans che vogliono i concerti negli stadi.
Non nelle radure sulle anse del Grande Fiume Dormiente.
E allora le parti più melodiche del non-misurabile brano d'apertura sfiorano la colonna sonora di un manga spaziale per esuli del Paradiso Scomparso; poi la chitarra di un incallito fan di Gilmour drappeggia blues troposferici che sarebbero fior di mainstream rockettaro dovunque, anche sparsi nei momenti quieti di qualche Robin Trower. Dovunque, ma non nel regno elettronico di Klaus, che mai abbandona la Nave Madre. La colonna sonora della ricerca di un mondo sconosciuto oltre le nebbie e i ghiacci artici.
L'altra faccia del lato A è l'affresco rupestre nella "grotta" platonica in cui il gruppo voleva vivesse una razza iper-umana evoluta e perfetta. The Cave, una non-canzone che si apre come fossero di scena i Vanilla Fudge di Some Velvet Morning, prima di rientrare nei solidi binari della visione teutonica di un prog espanso, fruibile, addirittura lineare nell'esplorare ogni stratificazione sintetica possibile. Galassie pulsanti traslocate nel cuore della terra. E' il brano per cui potreste pensare di trovarvi di fronte ad una versione per Iniziati di Dark Side of the Moon, con Schulze nei panni di Alan Parson.
Poi c'è il tentativo di frantumazione del lato B, una geografia immaginaria che traccia confini di lande da favola battute da venti di steppa e neve assolata. I flauti evocano costantemente una melodia di stirpe  nomade, vagante, dispersa. Strani Dei si rincorrono, tra Atlantide, Lemuria e Alderaan.
Su questa arca spaziale si imbarcano tutte le suggestioni frantumate e rimontate nella mente di musicisti cresciuti con l'eco di Elvis e Beatles fissato come un chiodo nella testa. Allora ecco i Moody Blues, ecco i Genesis e i Van Der Graaf. Ecco una copertina di bieca New Age, poi subita riciclata dagli Eloy di Down, incorniciata in qualche glifo pseudo-orientale, che traslittera Nihonjin in Nipponjin, che traduce in inglese tutti i vecchi testi giapponesi per fare capire a tutti, tutti gli altri, che, sì, in fondo quella è musica d'oriente trapiantata nelle terre del Capitalismo.
Non l'elegia degli Eremiti Bambini sull'isola di Mu.
Peccato, perchè alla fine questa traduzione rinuncia allo spaesamento meraviglioso e ingenuissimo di The Cave down to the Earth per traghettare, verso il ben noto e reazionario “progressive”, una musica che avrebbe dovuto avere solo nei suoni della Natura la sua vera origine e ragione d'essere.
E' più facile per noi, e ne siamo ben contenti; almeno finché non è chiaro ciò a cui abbiamo rinunciato per facilitarci la vita e la critica.
Non è molto, in verità; come un'innocenza smarrita non per colpa ma per necessità. Un tempo che scorre sempre troppo veloce, almeno al di fuori di un disco che, come dettava la Regola Cosmica, è vano tentativo di sospensione ritmica.
Al ritorno su River of Soul, il Battista è ancora là.
Richiama i fedeli come in un sogno dai riflessi di cristallo, immerso nelle acque fredde che furono la neve di un inverno lontano.


Far East Family Band - Nipponjin - Vertigo 6370850 - Germany 1975

A1 Nipponjin     16:51    
A2 The Cave      8:37      
B1 Undiscovered Northern Land             2:54      
B2 Timeless        4:25      
B3 The God Of Water    2:06      
B4 River Of Soul               8:28      
B5 The God Of Wind      2:33      
B6 Moovin' Lookin'         1:39      
B7 Yamato          0:48      
B8 Mystery Of Northern Space 5:57


8 commenti:

Blackswan ha detto...

Di questo disco,ovviamente, non conoscevo una beata minchia.Ti leggo, ed è stato come ascoltarlo,prima che arrivassero le note.Suggestioni fantastiche.

Gianluca Chiovelli ha detto...

Questa storia della terra cava mi fa venire in mente Hanns Horbiger, lo scienziato tedesco che teorizzava la cavità interna della terra nonché cataclismi periodici generati dai satelliti (Atlantide e Lemuria sarebbero sparite per questo motivo; l'uomo si estinguerà quando precipiterà la Luna).
Forse Schulze ripescò questa favola (diffusa in ambiente scientifico nazista) e la utilizzò per la sua forza simbolica.
Comunque sarebbero da indagare le connessioni culturali profonde fra Germania e Giappone testimoniate anche da tale disco.

Unknown ha detto...

In realtà secondo Julian Cope la fissa del Gruppo per la tera cava è precedente all'incontro con Klaus e anzi un vero chiodo fisso del gruppo dalle origini, come testimonia l'album precedente il cui titolo, tradotto, è circa "La grotta dentro la terra". Però è vero che l'idea è simile ad alcune mitologie "degeneri" del periodo nazista riguardanti il Tibet.
Semmai ci sarebbe da ragionare sul fatto che, INGHILTERA ESCLUSA, sono 3 i paesi dove nello stesso periodo si sono sviluppate altrettante scene rock undurground e profondamente "Progressivo" (inteso come culturalmente di spessore, musicalmente complesso...): Italia, Germania e Giappone.
Un caso? Semplice "colonizzazione" di riflesso post bellica? O influenza diretta del regno unito?
O magari, almeno nel caso italiano, o meglio, in alcune settori del "caso italiano" un ripiegamento sul fantastico per sfuggire ad una società (anche artistica) che, GIUSTAMENTE, aveva ripudiato ogni accenno ad ideologie dittatoriali?

Unknown ha detto...

PS: è quasi un peccato che buona parte della discografia della FEFB sia facilmente reperibile anche su spotify... ma tant'è..tanto vale approfittarne!

Gianluca Chiovelli ha detto...

Secondo me i giapponesi hanno preso dalla Tedeschia (il mito nasce in Europa), ma reperire notizie di primo mano sui gruppi e le case discografiche nipponiche è duro assai, quindi sospendo il giudizio.
Certo questo insorgere del progressive italiano-tedesco-giapponese mi ha sempre affascinato e meriterebbe ricerche (accademiche) a parte.

Unknown ha detto...

Concordo. Il triangolo musicale Italia-Giappone-Germania è intrigente assai...

mr.Hyde ha detto...

Si,ho trovato riscontro di tutto quello che scrivi, in maniera intrigante fra l'altro, nell'ascolto di Nipponjin e di The Cave, Timeless..(ascoltati oggi per la prima volta)
In effetti è prog eseguito da musicisti giapponesi, ma si tratta di cultura musicale occidentale, nella quale si aggiunge qualche assolo strumentale derivato dalla tradizione orientale.Il chitarrista è scatenato, sembra aspettare il suo momento per poterci dare dentro. Gilmouriano dalla testa ai piedi.Grande dose di effetti speciali cinguettanti, gorgoglianti, ventilanti.
Ripeto, la tua descrizione e meravigliosamente calzante.

Unknown ha detto...

@Hyde: sono lusingato!
Temevo in effetti di avere scritto cose un po' troppo contorte per parlare di un album che in realtà è semplice.
Grazie!

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