domenica 21 ottobre 2012

Granicus - Granicus (US Hard Rock)


Artista: Granicus
Titolo: Granicus
Anno: 1973
Label: RCA Victor AFL 1-0321


Lineup:

Woody Leffel - vocals, guitars
Wayne Anderson - lead guitar
Allen Pinell - rhythm guitar
Dale Bedford - bass
Joe Battaglia – drums

Tracklist:

You're In America 4:09 
Bad Talk 2:35    
Twilight 3:18     
Prayer  11:02    
Cleveland, Ohio 3:24     
Nightmare 8:15               
When You're Movin' 3:11           
Paradise 7:09


C’è un momento in Prayer, quando Woody Leffel urla disperatamente “I've Been Trying”, in cui si percepisce alla perfezione lo sgretolarsi del sogno; la fine delle velleità e delle aspirazioni. È il punto dove “l’onda va a sbattere e poi torna indietro”, come scriveva Thompson in Fear and Loathing in Las Vegas. La canzone, che era cominciata come una quieta confessione pastorale, continua con una massa di delirio chitarristico sovrainciso mille volte e ricantato altrettante, mentre Bedford e Battaglia dimenano un ritmo frenetico a perdifiato. Qui finisce il lato A. E’ un disco che a questo punto si ha quasi paura a toccarlo, tanta l’energia radiante che spigiona.
Leffel, Anderson,  Pinell, Bedford e Joe Battaglia si incontrarono a Cleveland e misero in piedi la Rock Band dei loro sogni, che solo oggi è riverita come una delle maggiori e più limpide realtà tra i Grandi Dimenticati del Rock, travolti da un insolito destino che gli fece assaggiare la Celebrità, quella con lettera maiuscola, prima di rispedirli direttamente nella polvere, sudati e sanguinanti come l’eroe di un film western alla fine del primo tempo.
Granicus, anno 1973, album fantastico, sound tagliente, cristallino; vermiglio ma freddo come un tramonto in Alaska, prototipo del più puro distillato di Hard Rock, da fare impallidire Aerosmith, Montrose e Rush, racchiude un mix di rabbia, rancore, risentimento e cinismo spaventosi; dove il cantante grida “You’re in AmeriKaaaaaaaaaaaa” è palese quell’autentico sentimento di disgusto sociale che presto le schiere carnivore del punk isseranno in Kings Road. Ma qui non è terreno per Johnny Rotten o Richard Hell: siamo in America dopo tutto, e il sogno fa parte dei diritti costituzionali. Il fatto che si avveri, invece, non è affatto garantito.
Woody Leffel, non ditelo in giro, è stato il migliore urlatore Hard degli ultimi 40 anni. Esagero? Si. Ma voi provate ad immaginare quell’anello mancante tra Robert Plant, il falsetto di Geddy Lee e tutto il rabbioso nichilismo di un Cobain o di un Henry Rollins: questo era Leffel. Gli sta dietro una chitarra solista logorroica, secessionista: un maschio alfa che ulula per tenere assieme il branco nelle notti di luna. Allora si spiegano facilmente episodi come Bad Talk, con un riff misogino di sboccata grandeur; o Cleveland, Ohio, una tirata negativista e irrispettosa, volgare, come un Jon Kay psicopatico e terrorizzato dalla luce delle estati californiane. E la conclusiva Paradise, ultimo tentativo di Hard Rock stellare e satanico allo stesso tempo, su tempi velocissimi al limite del trash. Poi Prayer e Nightmare, le ballatone acustiche obbligatorie, autopsie introspettive, modellate forse sul Moloch Stairway to Heaven,  travisando del tutto certa violenza posticcia e studiata tipica dei Led Zeppelin, per contrabbandare a quegli stessi teenagers ansiosi di scopare e ubriacarsi un grido di disperazione lanciato dalle viscere di una generazione sconfitta in partenza.
“Non so come pregare” …e nessuno è qui per aiutarti, Woody.
Tra tutto questo roboante scenario metallico e ghiacciato, il vento siberiano di Twilight si porta via una melodia sinistra da pianure cimmeriche; una foglia che cade presto, prima dell’autunno.
Il gruppo, sotto contratto con la RCA, faceva il pendolare tra Cleveland e New York, inseguendo il sogno della Gloria, della Ricchezza. Quando le cose sembrarono andare male, con la casa discografica in procinto di scaricarli, furono addirittura contattati da Sandy Pearlman, Grande Uomo Columbia, allora alla ricerca di un gruppo Amerikano che potesse dare forma alle sue degenerate visioni urbane di possessione extra-terrestre. I Granicus declinarono l’offerta e Pearlman ripiegò sui Blue Oyster Cult.
Del gruppo di Leffel e Anderson restarono per anni solo le ombre nere sulla copertina dell’album.
Poi, un paio d’anni fa, una nuova uscita Thieves, Liars, & Traitors, con inediti dell’epoca: un intero album mai inciso, ma dalle potenzialità imponenti.
I ragazzi ci hanno provato; hanno realmente esposto tutto quello avevano, mettendosi a nudo per impresari e colletti bianchi che mai li meritarono.
A noi resta la possibilità di ascoltarli ancora, aiutarli a trovare una via di fuga a quella rabbia che sembrava doverli uccidere tutti, sul palco di un’ultima notte elettrica.
Non è poco.

Disco oggi quasi mitologico per i fan dell’Hard Rock Puro, non raggiunge valutazioni stratosferiche per il solo fatto di essere un prodotto della RCA. Un buon vinile (classica label arancione) si porta a casa con un centinaio di euro (e un po’ di fortuna); sempre in formato LP esistono anche ristampe assai recenti.
Il CD di stampa Free Records (con bonus live tratti da un’apparizione radiofonica) si trova nuovo a prezzi piuttosto alti su Amazon (tra i 20 e i 25 euro), usato costa a meno della metà. Esiste anche una stampa CD meno recente, sempre della Free, che su e-bay supera difficilmente i 10 euro.
Album consigliatissimo.
Non da trascurare il recente Thieves, Liars, & Traitors, prodotto degli archivi, con basi registrate a metà anni ’70, su cui Leffel ha reinciso la parte vocale in tempi recenti (e si sente…), eccetto negli strabilianti 27 minuti di medley live di chiusura, direttamente dal 1973, con la band al picco della forma, che cerca di spingere ancora più in là l’asticella che gli Zeppelin avevano posto con la Whole Lotta Love che chiudeva i concerti nel 1970. Per il resto buoni spunti musicali (e testuali, vedi The Wizard of Was), poverissima produzione.

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