Nel mio lungo periodo di torpore
e umor nero autunnale, non ho rinunciato all’ascolto.
Ma era più autolesionismo che
desiderio di scoprire.
Ripensando a quel periodo, da
cui non mi sento certo al sicuro, ho affidato alla rivista online “The Circle review” qualche
considerazione su quei giorni. Mi spaventava riportarli, nudi e crudi, sul
blog.
L’articolo completo è
disponibile qui:
Mi piace il biliardo.
Perchè ha sintesi, purezza.
Tre sfere monocrome, perfette. Un rettangolo verde, regolare,
perfetto.
Tutto dentro quelle quattro sponde. Tutto è ordinato, prevedibile,
premeditato, calcolabile.
Ci sono scienze esatte: matematica, geometria, fisica.
Invece fuori da quel rettangolo tutto fa schifo. A rotoli; nulla di prevedibile,
nulla di monocromo, nulla di misurabile.
Non so come misurare i rapporti umani. Mi manca lo strumento.
L’attrezzo che ho usato di più, negli ultimi due mesi, è stato un
orrendo divano color salmone, nascosto sotto due strati di ponchos andini,
gialli, rossi e blu. Sapore precolombiano. Un pacchetto di sigarette; alcool
come piovesse. Penombra.
Musica.
La musica aiuta; però a volte è proprio lei a rigirare il coltello
nella piaga.
Nella depressione si scivola un passo alla volta, talmente lentamente
che guardandosi allo specchio non ti rendi mai conto. Di quanto sei invecchiato
dall’ultima volta che ti sei visto disteso, rilassato; felice.
Così, ecco sfilare i capolavori nello stereo, perché quando ascolti
gli immortali non ti senti mai del tutto in colpa.
Blonde on Blonde è andato via liscio, morbido. Un sapore appena
dolciastro, di pomeriggio che si avvia al tramonto. Pomeriggio di una buona
giornata, piena di impegni inutili e di false relazioni. Una Tennent’s, qualche
guida di viaggio per avere ancora un appiglio pensando al futuro.
Poi Pledging My Time, One Of Us Must Know, Just
Like A Woman. Visions Of
Johanna nemmeno l’ho ascoltata; troppa paura di rimanerne assuefatto. Però Sad Eyed Lady Of The Lowlands…ah, quella si! Ha girato senza
soluzione di continuità nel lettore forse per un giorno e mezzo.
Alla fine è diventata perfetta, pura; prevedibile e misurabile.
Illusione di poterla trasferire nel caos, là fuori…
Al terzo male di testa della settimana, stop con Dylan.
John Lee Hooker, acustico. Sempre ritmico. Profondo.
That's My Story, un classico della Riverside; primi anni ’60.
Poi Lightnin' Hopkins.
When the sun go down. Possibile
che il blues non mi aiuti?
Elliott Smith, il secondo album; omonimo. Una sorpresa. Uno si crede
che solo la subdola perfidia di Needle In
The Hay valga il prezzo del
biglietto. E invece ti ritrovi ad ascoltare tutto un LP di uno sconosciuto eroe
del grunge acustico; un ossimoro musicale talmente evidente che pare
impossibile nessuno ci abbia mai pensato prima. Un Neil Young registrato sulle
vecchie piste dismesse di Donovan, con tutta la malattia di Mark Kozelek e Nick
Drake attaccata addosso. Clementine, The White Lady Loves You More amori mai
portati fino in fondo. Interrotti. Un tossicomane scontroso, schivo. Suicida,
alla fine.
E Donovan gli è subito venuto appresso. Pochi ascolti; per fare venire
veramente buio. E aspettare quel sollievo che solo il sonno alla fine
dell’ennesima giornata vuota ti concede.
Basta. Smettiamo di vivere il tempo di una notte, per favore! Un po’
di pace, di amnesia, di sollievo da quei continui dolori nervosi.
Alcune favole di Donovan le canterei a mio figlio come ninna nanna. Legend Of A Girl Child Linda, Three
King Fishers.
Ma non ho figli. E
finisce che me le canto da solo. Perché prima o poi tutto l’alcool fa effetto;
e se ti va bene ti addormenti di schianto e ti risvegli con quel cerchio alla
testa che ti illude che qualcosa di nuovo possa forse capitare. Se va male
nemmeno dormi. Le tempie ti scoppiano e nonostante la stanchezza quello che
vedi lassù in alto è il bianco del soffitto, attraverso occhi spalancati e
immobili.
Fly Translove Airways, get you there on time.
Fly Translove Airways, get you there on time.
(continua...)
Tra tutti i dischi citati,
quello che credo resterà più indissolubilmente legato a quei momenti è l’omonimo
di Elliott Smith. I Velvet sono
troppo enormi per rimanere rinchiusi in un solo ricordo. Ma Smith ha qualcosa
di mellifluo e malefico.
Non so dove sia finito il CD;
probabilmente giace ancora informe sotto il divano. Il solo pensiero di
ritrovarlo e riascoltarlo, ora mi terrorizza. Fatelo voi al mio posto, perché è
ben meritevole di un ascolto attento…
4 commenti:
Et si parfois l'on fait des confessions
A qui les raconter - meme le bon dieu nous a laisse tomber
Un autre endroit, une autre vie
Eh oui, c'est une autre histoire
Mais a qui tou raconter?
Chez les ombres de la nuit?
Au petit matin, au petit gris
Combien de crimes ont ete commis
Contre les mensonges et soi disant les lois du coeur
Combien sont la a cause de la folie
Parce qu'il ont la folie
Ecco: Elliott Smith. Un signor nessuno che ascolto con parsimonia, come si fa con le cose delicate che vuoi conservare. Mi piacciono tutti i suoi dischi, ma è Figure 8 a spappolarmi il cuore, troppo legato ai ricordi. E, ne converrai, mai legare una musica ai ricordi.
Questa affermazione 'mai legare la musica ai ricordi' mi incuriosisce..non riesco a darle una risposta. Forse 'perchè per me ricordi e musica vanno di pari passo, l'una strascina gli altri e viceversa..
Ragazzi... ci sono album nel mio scaffale che ho "paura" di ascoltare. Non so se sono direttamente ricordi... sono album comprati ed ascoltati in momenti che preferirei dimenticati. Come dei marker di esperienze rimosse; che tornano a galla con la musica.
Grazie x i commenti, come sempre!
Keep on Rock!!!!!!!!!!!
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